Vorrei l’arte negli Istituti Tecnici: così una mia provocazione diventa una petizione

Quest’anno ho preso servizio come docente di ruolo all’Istituto Tecnico Scano.

Mentre osservo gli studenti rifletto a voce alta.

Se volete saper di più sulla petizione che ho lanciato qualche giorno fa su Change.org, potete leggere qui su Nemesis magazine l’intervista di Francesca Mulas alla sottoscritta.

Giochiamo a imparare.

Dopo un lungo e complicato anno COVID trascorso in compagnia dei liceali son tornata a indossare le mie spille nella scuola media inferiore.

Gira la ruota. Cambia l’età dell’uditorio ma non cambiano i presupposti, le modalità, gli approcci.

Ogni volta è una sfida, una sorpresa, un’incognita. Questo sarà un anno speciale, più faticoso (inutile ricordare perché; il Tg ci rinfresca la memoria ogni giorno) ma si ricomincia con il giusto entusiasmo. Si lavora sodo. Subito. Non si perde un minuto. Ogni secondo è prezioso. Forse però non tutti hanno capito bene quanto sia complesso il gioco dell’imparare a imparare. Quanto tempo occorra, quanta pazienza. Quanta preparazione. Quante strategie didattiche. Quanta forza di volontà. Quanto autocontrollo. Quanta lentezza.

La fretta non aiuta mai. Dare e ricevere e restituire con il ritmo giusto fa la differenza.

Beh, per poter giocare anzitutto si espongono le regole, ovvero si discute e si scrive un patto personalizzato con cui stabilire l’impegno del singolo per permettere equamente la partecipazione di tutti i giocatori. Il nostro primo obiettivo è favorire competenze sociali per interagire nel rispetto delle regole di convivenza stabilite.

Quindi ci esercitiamo con la parola. Ognuno dice la sua ordinatamente. Apprendiamo subito che l’ascolto è il presupposto essenziale per avviare questa nostra nuova relazione. La mia con il gruppo ma anche quella di ogni alunno con il proprio compagno. Siamo un coro ma siamo anche unità pensanti, ognuna con i suoi pregi e difetti. Perché il coro possa intonare bene il suo mottetto bisogna dare il LA.

Prendo il mio diapason, lo picchio sul tavolo e aspettiamo. In lontananza percepiamo quel suono così lontano e preciso e poi tutti vocalizziamo, ascoltando il compagno vicino ma anche quello più lontano. Non tutti sono intonati ma con un po’ di esercizio forse la stonatura può essere limata.

Ma come prof.? Non lo sai che non si può cantare in classe?

Già! Sono tante le cose che NON si possono fare quest’anno.

“Eh, se lo so. Vuoi che non lo sappia?? Nessuno però ci vieta di ascoltare musica”.

Quando in una prima media imposti una Uda sulle regole e la convivenza civile può succedere di tutto. Puoi incontrare bambini che rispettano semplici prassi: sollevare la mano prima di parlare. Ne individui altri che non ne vogliono sentire, voglio sempre parlare parlare parlare. Si lavora in vari modi per raggiungere l’obiettivo dell’ascolto. Se manca l’ascolto non c’è apprendimento. L’apprendimento è un fatto relazionale, di rispetto per l’altro e le sue idee, anche quelle più strampalate.

Sono stranoti i regolamenti da rispettare dentro la scuola. Sono tanti nonsipuò messi in fila, tanti NO che non ci piacciono.
A queste norme di base si aggiunge oggi il protocollo COVID.
Anche i più piccolini imparano il mantra della mascherina e dell’igienizzazione e con grande fatica lo applicano.
Bene. La frittata è fatta ma è necessario essere molto ligi per non cader dalla padella nella brace. Siamo blindati, io e loro.

Quindi propongo il mio solito tema: fatte le regole vediamo quali vorresti infrangere dentro e fuori. Con la fantasia possiamo tutto, anche disobbedire.

Chiaramente tutti vorrebbero eliminare le limitazioni portate a scuola dal coronavirus. I ragazzini vogliono fare tutto ciò che prima non era vietato ma normale vita insieme: abbracciarsi, giocare, condividere i materiali. Qualcuno osa di più. Vorrebbe svaligiare una banca per poter viaggiare in business class e vestirsi di diamanti. Altri si limitano alla decisione di non fare i compiti o guardare programmi televisivi fino a tarda sera.
Ma quasi tutti, sarà che in classe son sempre fermi, son saliti in TESLA Model X per sfrecciare a tutta velocità.

Il dialogo è indispensabile e va instaurato subito perchè la dimensione emotiva è al centro di ogni dinamica affettivo-intellettuale. Tutti conoscono le regole, alcuni vorrebbero violarle ma la ragione prevale: senza regole non si può stare insieme. E allora si firma l’accordo maggiore!

A scuola si ha sempre una gran fretta. Noi insegnanti ci carichiamo ogni giorni di ansia da prestazione. Sembra che il tempo non basti mai perché c’è sempre da fare: spiegare, valutare. Ma la comunicazione autoritaria tra docente e discente ostacola irrimediabilmente ogni apprendimento significativo. Ancora a troppi interessa solo la valutazione docimologica. Ancora troppi intendono la scuola come trasmissione di saperi e non la loro interiorizzazione in ambiti reali.

La relazione educativa deve venire prima di tutto. E a questo aspetto va dedicato tutto il tempo che occorre per sintonizzarsi.

In realtà non si dà mai troppo spazio all’alunno, al singolo alunno che occupa una posizione speciale dentro la classe. Ognuno con le sue peculiarità che ci piacciono molto o per niente. È più facile amare meno quelli che hanno più bisogno d’aiuto. Quelli più faticosi. Che si muovono di più, che gridano di più, che non sanno concentrarsi.

Talvolta nessuno ascolta, né i ragazzi ma soprattutto gli insegnanti. Gli adulti in generale. Così si alzano i toni. Alcuni ragazzini vogliono discutere le regole imposte, di ciò che in fondo gli adulti decidono per loro, perché non sempre ciò che gli si propone dalla cattedra li soddisfa. E si adattano. Ingoiano. In fondo sono insoddisfatti e arresi allo stato delle cose. Non appena gli dai la parola (soprattutto a coloro che sembrano più irrequieti) si calmano e tirano fuori idee per migliorare la scuola. Son loro i nostri interlocutori, insieme alle famiglie. Quello che mi spaventa è la fretta con cui si bypassano tutti gli aspetti sociali relazionali per raggiungere apparenti obiettivi formativi nell’ambito dei saperi (sempre imprescindibili) trascurando l’emotività e amplificando la frustrazione.

Se fossimo tutti meno frustrati forse, con mooooolta calma, potremmo raggiungere l’obiettivo di stare bene (anche) a scuola e, finalmente, giocare insieme a imparare.

Quando a casa 24 ore

A settembre si riprende.

Nel mio caso, forse, si riprende.

Intanto resto in attesa di nuova convocazione seguente l’aggiornamento delle GPS.

Mi rimetto in moto, lentamente, ripensando agli ultimi mesi di DAD, quando coi miei ex alunni del Liceo Artistico Musicale Fois Fois ho lavorato alla redazione di un giornale che abbiamo chiamato “A casa 24 ore”. Titolo assolutamente in linea coi tempi di Lockdown che speriamo siano solo un lontano ricordo.

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Ecco qui alcune mie dichiarazioni a seguito di un’intervista telefonica diramata in forma di newsletter dal sito DIRE (Agenzia di stampa nazionale).

Infine, lascio qui i link al sito del Fois Fois per sfogliare comodamente i tre numeri prodotti dai ragazzi frequentanti le mie classi di prima, seconda, terza e quinta Liceo.

Ad majora!

Numero 1

Numero 2

Numero 3

E-ducare, anche a distanza, senza imbuti

Educare mantenendo la distanza è quasi un ossimoro.

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Il senso dell’educare sarebbe quello del “condurre fuori”, attività improbabile da realizzare negli ultimi mesi di clausura, dove tutti sono stati “dentro”.

Trattandosi, però, di espressione astratta “figurata” quanto il famoso “Imbuto” di Norimberga (Nürenberg tricther o Nürenberg Funnel), l’ossimoro funziona, suona bene, come tutti gli ossimori. Infine, se l’imbuto è metallico. TINNNNN! Tonalità maggiore. Siam tutti felici.

Disponibili esemplari anche su ebay! Pensate un po’!

Quanto meno, noi docenti volenterosi e amanti del rischio, abbiamo provato a far funzionare alla bell’e meglio in tempi di Pandemia SARS Covid-19, l’ossimoro dell’insegnamento a distanza.

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Ma partiamo dall’espressione idiomatica più o meno comune, torniamo alla metafora – tornata in auge recentemente per ironizzare su alcune dichiarazioni ministeriali. Essa ha origine dal titolo di un libro di testo poetico dei fondatori dell’Ordine Florifero della Pegnitz (Pastori del Pegnitz) e del poeta di Norimberga, Georg Philipp Harsdörffer (1607-1658), pubblicato a Norimberga nel 1647 con il titolo di Poetischer Trichter. Die Teutsche Dicht- und Reimkunst, ohne Behuf der lateinischen Sprache, in VI Stunden einzugießen (“Imbuto poetico. L’arte della poesia e della rima tedesca, senza usare la lingua latina, versata in VI ore). Il titolo insiste sulla falsariga di reminiscenze medioevali quando la memoria era considerata una riserva di immagini e materiali a cui attingere (scrigni poetici o thesaurus); non a caso le immagini avevano un potere molto forte anche nell’ambito della retorica, sul versante mnemonico.

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Ecco il docente nell’atto di versare nozioni sotto forma di lettere dell’alfabeto e numeri, xilografia tratta dall’edizione del 1648.

Questa dell’imbuto è una descrizione ironica che pretenderebbe di “visualizzare” l’azione dell’educare o dell’insegnare, ovvero la pratica di travasare contenuti nozionistici, ovvero conoscenze, da un “contenitore A” pieno a un “contenitore B” vuoto o semivuoto, con caduta verticale (il docente sta necessariamente più in alto del discente, meglio se su una predella).

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Questo sembra incontrovertibile nella tradizione figurativa e letteraria barocca sino a oggi, anche se la “caduta dall’alto” delle informazioni poi ha avuto in classe, non dimentichiamolo, una metamorfosi “frontalizzata” secondo la linea “cattedra-banco” con distribuzione ramificata “a pioggia” come nel proverbiale droplet.

Io parlo. Tu ascolti (se ascolti). Tu impari (forse).

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Se dovessi illustrare oggi l’atto di E-DUCARE e insegnare non userei la metafora dell’imbuto ma quella di una siringa nell’atto di aspirare, di un cavatappi, di un’aspirapolvere “che porta fuori“, estrae quel che c’è di buono, con un processo metacognitivo, in cui talvolta si assumono le conoscenze e talvolta le si estraggono, magari dopo una buona rimescolata in un frullatore-estrattore di succhi di frutta e verdura.

Mi piace moltissimo, a questo proposito, l’illustrazione a colori che prevede come si legge “per l’anno 2000” il frullato di libri i cui contenuti vengono distribuiti in connessione attraverso delle cuffie agli studenti. Inoculare la conoscenza fluidamente nel cervello, in modo così meccanico e tecnologico, sarebbe davvero bello e interessante! Facile, diciamo! Eppure nemmeno nel XXI secolo la trasmissione dei saperi avviene in questo modo avveniristico quanto distopico.

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La nostra mente è come una tavoletta di cera (diceva Platone): inizialmente vuota ma predisposta ad accogliere informazioni e fissarle nella cera (il che è tutto dire visto che le tavolette di cera nel passato venivano raschiate per poterle utilizzare nuovamente!!).

Nella letteratura più recente abbiamo conosciuto L’incredibile bimbo mangialibri di Oliver Jeffers (Zoolibri).

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Quindi insegnare o educare nella iconografia del passato avviene attraverso uno dei sensi più spiccato: l’udito. Ma più recentemente l’apprendimento si è voluto rappresentare attraverso il gusto, ovvero più libri mangi più sai, senza mai leggere (azione per cui occorre il senso della vista, permeabilissimo come non mai!). Ma anche il nostro protagonista rischia l’indigestione e a un certo punto non ricorda più niente. Perché anche il sovraffollamento di informazioni rischia di inficiare la funzionalità cerebrale e non portare ad alcun risultato positivo.

L’EDUCARE, tuttavia (con o senza imbuto) non implica sempre e solo il condurre fuori – all’aperto, oggi più che mai – i discenti per permettere loro di conoscere il mondo con l’esperienza diretta delle cose, ma anche (soprattutto) di condurre loro “fuori dagli schemi“ dai “peccati originali”, per combattere (come cita il dizionario) dalle inclinazioni non buone (anche se a questo punto ci si immette in un campo che non vorrei invadere mai, ovvero quello della MORALE).

Questi validi esempi figurati mi aiutano a illustrare la mia esperienza “precaria“ di DAD (didattica a distanza) che ribattezzerei DADE (didattica a distanza d’emergenza).

Quindi è chiaro che il condurre fuori è essenziale nell’apprendimento esperienziale, sebbene quasi mai gli studenti escano dalla classe (anche perché questo comporta ogni volta stressanti responsabilità burocratiche e penali che fanno desistere anche i maestri e i prof più motivati!). Ecco che veniamo al dunque: non recandosi più nemmeno a scuola gli studenti devono pur imparare qualcosa ma stando fermi in cameretta. Devono ascoltare o visualizzare attraverso lo schermo del tablet o del cellulare un’opera d’arte o un testo ma non possono fare esperienza diretta delle cose (argomento che rettificherei perché anche in classe il tour al museo si faceva virtualmente attraverso lo schermo della LIM).

Oggi sono in tanti a criticare e demolire l’ultimo esperimento didattico che c’è capitato a tiro! Lo capisco! Nessuno se lo aspettava. Nessuno era pronto. Chi poteva immaginare un mondo in Lockdown, tutti a casa, ma tutti tutti tutti! E cosa facciamo allora, ce ne freghiamo? Non se ne fa niente? Tergiversiamo? Vacanza per tutti? Chiudiamo la baracca? W le ferie a casa, si dorme, si mangia, si guarda la tivvù? Niente matematica, niente storia, niente scrivere, niente leggere? Niente grammatica, niente inglese, per tre mesi? Oh l’Homeschooling non l’ho inventata io, conosco tante famiglie che l’hanno adottata per la vita.

Io la chiamerei, ripeto, didattica d’emergenza: una tantum!

L’abbiamo desiderato tante volte un mondo così, tutti in panciolle. Ma quanto è durato questo entusiasmo iniziale? I miei studenti hanno visto all’orizzonte lo spauracchio della NOIA. Perché insomma, toglietemi tutto, certo, ma NON il piacere di andare a scuola in autobus, la chiacchiera davanti all’Istituto, gli sguardi e le risatine in classe.

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Per me andata è bene e lo dimostrano i commenti dei miei alunni! Ci siamo adattati. Non penso si potesse fare altrimenti!

Stiamo imparando a scrivere, a scrivere le mail, a comunicare, a solidarizzare con alunni e famiglie! Le interrogazioni non le facevo nemmeno prima, nel senso più tradizionale del termine: in classe si discute, si condivide, si parla! Intesa in questo modo anche se distanti credo sia stato utile e anche produttivo proseguire con le attività. I miei alunni scrivono. E scrivere è per noi motivo di dialogo! Quale risultato migliore avrei potuto ottenere in questa situazione assurda, piena di incognite e grandi (grandissime) difficoltà per le famiglie.

Vi lascio le parole degli studenti adolescenti, talvolta molto più validi di certi commenti degli adulti alla guida del mondo.

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NO, no sono imbuti!

 

 

Così distanti, così vicini!!

Al mio nono giorno di Oh, cavolo, scuola chiusa – tutti a casa (per colpa di questo maledettissimo Covid-19) e al settimo di “iorestoacasa” mi tocca scrivere QUALCOSA!

E PURE QUALCOSADIP A R T I C O L A R M E N T E INTELLIGENTE!

Sarò l’ennesima rappresentante della categoria (annoverante docenti di tutti gli ordini e grado). Lo so. Come faccio? Mi astengo? Non me lo ha ordinato il medico di famiglia (sempre nei nostri pensieri in queste ultime settimane, AMEEEEN) ma almeno vorrei dirvi come me la passo. Posso? Anche io ho bisogno di sfogarmi.

Tanti, tantissimi docenti hanno già raccontato in queste ultime settimane le loro brillanti e/o terribili esperienze nell’ambito della cosiddetta DIDATTICA a DISTANZA (mai la lontananza dalle aule scolastiche fu così desiderata come nei primi primissimi giorni del decreto). Nell’ambiente, fra colleghi e colleghi, fra studenti e studenti, fra studenti e docenti, tra docenti e famiglie, sui tiggì, sui quotidiani, sui social, sulle chat dei docenti e quelle degli alunni (che ormai si incrociano in un idillio di rumorosi sensi di messaggistica istantanea in un ritmo mai visto prima) non si è parlato d’altro.

Io pure sono in apnea da circa dieci giorni tra un

Prof ecco il mio compito di storia!

e un

Prof cosa faccio glielo mando qui o sulla mail?

ma anche un

Prof può dire all’altro prof che non so come inviargli i disegni?

Prof guardi, prof senta… prof prof prof, il link non si apre.

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Solo oggi ho trovato un momento per ripensare al grande lavoro svolto a distanza finora. Grande sì, costante e pure molto impegnativo. Perché io (come tanti colleghi) uso la tecnologia a scuola. Sì! Ci sono le presentazioni in ppt, i contenuti su google drive (sia mai che la chiavetta usb non funzioni). Nel quotidiano, in classe, digitiamo testi e li stampiamo, seguiamo video documentari, apriamo slide, guardiamo film.

Ma questa volta è diverso. Questa volta senza rete, senza un laptop, senza un tablet, senza uno smartphone non ci sarebbe alcun incontro con le classi.

Sì va bene, dai, diciamo che un incontro o due vanno bene, qualche compito in bacheca, pure va bene, ma da dieci giorni io non faccio altro che studiare diavolerie, inventare sistemi per tenere viva la comunicazione con gli studenti.

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Cari ragazzi, invitate tutti i compagni a unirsi nella piattaforma e ricordatevi IO VI VEDO!

Prof con quel IO VI VEDO mi ha fatto salire l’ansia!

Le teorie su questa attualissima attività nell’ambiente sono molteplici. Chi questosistemanonfunziona, chi nonc’èilcontattooculare, chi nonpossiamovalutare, chi nonpossospiegarecosì, chi non finiremomaiilprogramma.

Ci sono quelli in sbattimento, quelli che chiamo un collega più giovane sicuramente mi suggerirà delle dritte, quelli che sapete che vi dico? Io non faccio niente, quelli che io le so tutte perché ho appena fatto un corso di formazione, giustappunto, WEBINAR.

 

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Arresi, affranti, disarmati, in allarme, occhi aperti, orecchie attente, mani pulite pulite, ci si vede sulla piattaforma Edmodo, o si avvia una vidoeconferenza con Meet.

Prof. Ma questo coso non funziona. Tizio non ha la linea, Caio ha finito i Giga. Non possiamo fare una chat di whatsapp?

Infine, quando proprio non si riesce a tenerli tutti insieme si crea la CHATdiCLASSE, prof compresi. Aaaargh! E così ci siamo dati la zappa sui piedi! I messaggi arrivano a tutte le ore del giorno e della notte. Oggi è domenica! Ah scusi prof.

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Tra i colleghi ce n’è uno che stimo molto, Enrico Galiano, lui propone ogni giorno una parola e la commenta su YouTube. I miei alunni sono stati dirottati sul suo canale e hanno lavorato molto bene sull’arricchimento lessicale.

Certo anche io ho assegnato dei compiti. Per esempio leggere Il barone rampante di Italo Calvino o La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Dei classici intramontabili.

Ma quello che mi piace di più (e spero piaccia molto anche agli studenti) è la ripresa dell’attività giornalistica scolastica con contributi (testi o disegni) degli studenti del Liceo Artistico Foiso Fois assegnati a me (temporaneamente) quest’anno.

Ho pensato a una nuova testata attualissima che si chiama “A CASA 24 ORE”.

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Questo un piccolo assaggio!

 

 

 

 

 

 

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