Educare mantenendo la distanza è quasi un ossimoro.
Il senso dell’educare sarebbe quello del “condurre fuori”, attività improbabile da realizzare negli ultimi mesi di clausura, dove tutti sono stati “dentro”.
Trattandosi, però, di espressione astratta “figurata” quanto il famoso “Imbuto” di Norimberga (Nürenberg tricther o Nürenberg Funnel), l’ossimoro funziona, suona bene, come tutti gli ossimori. Infine, se l’imbuto è metallico. TINNNNN! Tonalità maggiore. Siam tutti felici.
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Quanto meno, noi docenti volenterosi e amanti del rischio, abbiamo provato a far funzionare alla bell’e meglio in tempi di Pandemia SARS Covid-19, l’ossimoro dell’insegnamento a distanza.
Ma partiamo dall’espressione idiomatica più o meno comune, torniamo alla metafora – tornata in auge recentemente per ironizzare su alcune dichiarazioni ministeriali. Essa ha origine dal titolo di un libro di testo poetico dei fondatori dell’Ordine Florifero della Pegnitz (Pastori del Pegnitz) e del poeta di Norimberga, Georg Philipp Harsdörffer (1607-1658), pubblicato a Norimberga nel 1647 con il titolo di Poetischer Trichter. Die Teutsche Dicht- und Reimkunst, ohne Behuf der lateinischen Sprache, in VI Stunden einzugießen (“Imbuto poetico. L’arte della poesia e della rima tedesca, senza usare la lingua latina, versata in VI ore). Il titolo insiste sulla falsariga di reminiscenze medioevali quando la memoria era considerata una riserva di immagini e materiali a cui attingere (scrigni poetici o thesaurus); non a caso le immagini avevano un potere molto forte anche nell’ambito della retorica, sul versante mnemonico.

Questa dell’imbuto è una descrizione ironica che pretenderebbe di “visualizzare” l’azione dell’educare o dell’insegnare, ovvero la pratica di travasare contenuti nozionistici, ovvero conoscenze, da un “contenitore A” pieno a un “contenitore B” vuoto o semivuoto, con caduta verticale (il docente sta necessariamente più in alto del discente, meglio se su una predella).
Questo sembra incontrovertibile nella tradizione figurativa e letteraria barocca sino a oggi, anche se la “caduta dall’alto” delle informazioni poi ha avuto in classe, non dimentichiamolo, una metamorfosi “frontalizzata” secondo la linea “cattedra-banco” con distribuzione ramificata “a pioggia” come nel proverbiale droplet.
Io parlo. Tu ascolti (se ascolti). Tu impari (forse).
Se dovessi illustrare oggi l’atto di E-DUCARE e insegnare non userei la metafora dell’imbuto ma quella di una siringa nell’atto di aspirare, di un cavatappi, di un’aspirapolvere “che porta fuori“, estrae quel che c’è di buono, con un processo metacognitivo, in cui talvolta si assumono le conoscenze e talvolta le si estraggono, magari dopo una buona rimescolata in un frullatore-estrattore di succhi di frutta e verdura.
Mi piace moltissimo, a questo proposito, l’illustrazione a colori che prevede come si legge “per l’anno 2000” il frullato di libri i cui contenuti vengono distribuiti in connessione attraverso delle cuffie agli studenti. Inoculare la conoscenza fluidamente nel cervello, in modo così meccanico e tecnologico, sarebbe davvero bello e interessante! Facile, diciamo! Eppure nemmeno nel XXI secolo la trasmissione dei saperi avviene in questo modo avveniristico quanto distopico.
La nostra mente è come una tavoletta di cera (diceva Platone): inizialmente vuota ma predisposta ad accogliere informazioni e fissarle nella cera (il che è tutto dire visto che le tavolette di cera nel passato venivano raschiate per poterle utilizzare nuovamente!!).
Nella letteratura più recente abbiamo conosciuto L’incredibile bimbo mangialibri di Oliver Jeffers (Zoolibri).
Quindi insegnare o educare nella iconografia del passato avviene attraverso uno dei sensi più spiccato: l’udito. Ma più recentemente l’apprendimento si è voluto rappresentare attraverso il gusto, ovvero più libri mangi più sai, senza mai leggere (azione per cui occorre il senso della vista, permeabilissimo come non mai!). Ma anche il nostro protagonista rischia l’indigestione e a un certo punto non ricorda più niente. Perché anche il sovraffollamento di informazioni rischia di inficiare la funzionalità cerebrale e non portare ad alcun risultato positivo.
L’EDUCARE, tuttavia (con o senza imbuto) non implica sempre e solo il condurre fuori – all’aperto, oggi più che mai – i discenti per permettere loro di conoscere il mondo con l’esperienza diretta delle cose, ma anche (soprattutto) di condurre loro “fuori dagli schemi“ dai “peccati originali”, per combattere (come cita il dizionario) dalle inclinazioni non buone (anche se a questo punto ci si immette in un campo che non vorrei invadere mai, ovvero quello della MORALE).
Questi validi esempi figurati mi aiutano a illustrare la mia esperienza “precaria“ di DAD (didattica a distanza) che ribattezzerei DADE (didattica a distanza d’emergenza).
Quindi è chiaro che il condurre fuori è essenziale nell’apprendimento esperienziale, sebbene quasi mai gli studenti escano dalla classe (anche perché questo comporta ogni volta stressanti responsabilità burocratiche e penali che fanno desistere anche i maestri e i prof più motivati!). Ecco che veniamo al dunque: non recandosi più nemmeno a scuola gli studenti devono pur imparare qualcosa ma stando fermi in cameretta. Devono ascoltare o visualizzare attraverso lo schermo del tablet o del cellulare un’opera d’arte o un testo ma non possono fare esperienza diretta delle cose (argomento che rettificherei perché anche in classe il tour al museo si faceva virtualmente attraverso lo schermo della LIM).
Oggi sono in tanti a criticare e demolire l’ultimo esperimento didattico che c’è capitato a tiro! Lo capisco! Nessuno se lo aspettava. Nessuno era pronto. Chi poteva immaginare un mondo in Lockdown, tutti a casa, ma tutti tutti tutti! E cosa facciamo allora, ce ne freghiamo? Non se ne fa niente? Tergiversiamo? Vacanza per tutti? Chiudiamo la baracca? W le ferie a casa, si dorme, si mangia, si guarda la tivvù? Niente matematica, niente storia, niente scrivere, niente leggere? Niente grammatica, niente inglese, per tre mesi? Oh l’Homeschooling non l’ho inventata io, conosco tante famiglie che l’hanno adottata per la vita.
Io la chiamerei, ripeto, didattica d’emergenza: una tantum!
L’abbiamo desiderato tante volte un mondo così, tutti in panciolle. Ma quanto è durato questo entusiasmo iniziale? I miei studenti hanno visto all’orizzonte lo spauracchio della NOIA. Perché insomma, toglietemi tutto, certo, ma NON il piacere di andare a scuola in autobus, la chiacchiera davanti all’Istituto, gli sguardi e le risatine in classe.
Per me andata è bene e lo dimostrano i commenti dei miei alunni! Ci siamo adattati. Non penso si potesse fare altrimenti!
Stiamo imparando a scrivere, a scrivere le mail, a comunicare, a solidarizzare con alunni e famiglie! Le interrogazioni non le facevo nemmeno prima, nel senso più tradizionale del termine: in classe si discute, si condivide, si parla! Intesa in questo modo anche se distanti credo sia stato utile e anche produttivo proseguire con le attività. I miei alunni scrivono. E scrivere è per noi motivo di dialogo! Quale risultato migliore avrei potuto ottenere in questa situazione assurda, piena di incognite e grandi (grandissime) difficoltà per le famiglie.
Vi lascio le parole degli studenti adolescenti, talvolta molto più validi di certi commenti degli adulti alla guida del mondo.
NO, no sono imbuti!
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