Giochiamo a imparare.

Dopo un lungo e complicato anno COVID trascorso in compagnia dei liceali son tornata a indossare le mie spille nella scuola media inferiore.

Gira la ruota. Cambia l’età dell’uditorio ma non cambiano i presupposti, le modalità, gli approcci.

Ogni volta è una sfida, una sorpresa, un’incognita. Questo sarà un anno speciale, più faticoso (inutile ricordare perché; il Tg ci rinfresca la memoria ogni giorno) ma si ricomincia con il giusto entusiasmo. Si lavora sodo. Subito. Non si perde un minuto. Ogni secondo è prezioso. Forse però non tutti hanno capito bene quanto sia complesso il gioco dell’imparare a imparare. Quanto tempo occorra, quanta pazienza. Quanta preparazione. Quante strategie didattiche. Quanta forza di volontà. Quanto autocontrollo. Quanta lentezza.

La fretta non aiuta mai. Dare e ricevere e restituire con il ritmo giusto fa la differenza.

Beh, per poter giocare anzitutto si espongono le regole, ovvero si discute e si scrive un patto personalizzato con cui stabilire l’impegno del singolo per permettere equamente la partecipazione di tutti i giocatori. Il nostro primo obiettivo è favorire competenze sociali per interagire nel rispetto delle regole di convivenza stabilite.

Quindi ci esercitiamo con la parola. Ognuno dice la sua ordinatamente. Apprendiamo subito che l’ascolto è il presupposto essenziale per avviare questa nostra nuova relazione. La mia con il gruppo ma anche quella di ogni alunno con il proprio compagno. Siamo un coro ma siamo anche unità pensanti, ognuna con i suoi pregi e difetti. Perché il coro possa intonare bene il suo mottetto bisogna dare il LA.

Prendo il mio diapason, lo picchio sul tavolo e aspettiamo. In lontananza percepiamo quel suono così lontano e preciso e poi tutti vocalizziamo, ascoltando il compagno vicino ma anche quello più lontano. Non tutti sono intonati ma con un po’ di esercizio forse la stonatura può essere limata.

Ma come prof.? Non lo sai che non si può cantare in classe?

Già! Sono tante le cose che NON si possono fare quest’anno.

“Eh, se lo so. Vuoi che non lo sappia?? Nessuno però ci vieta di ascoltare musica”.

Quando in una prima media imposti una Uda sulle regole e la convivenza civile può succedere di tutto. Puoi incontrare bambini che rispettano semplici prassi: sollevare la mano prima di parlare. Ne individui altri che non ne vogliono sentire, voglio sempre parlare parlare parlare. Si lavora in vari modi per raggiungere l’obiettivo dell’ascolto. Se manca l’ascolto non c’è apprendimento. L’apprendimento è un fatto relazionale, di rispetto per l’altro e le sue idee, anche quelle più strampalate.

Sono stranoti i regolamenti da rispettare dentro la scuola. Sono tanti nonsipuò messi in fila, tanti NO che non ci piacciono.
A queste norme di base si aggiunge oggi il protocollo COVID.
Anche i più piccolini imparano il mantra della mascherina e dell’igienizzazione e con grande fatica lo applicano.
Bene. La frittata è fatta ma è necessario essere molto ligi per non cader dalla padella nella brace. Siamo blindati, io e loro.

Quindi propongo il mio solito tema: fatte le regole vediamo quali vorresti infrangere dentro e fuori. Con la fantasia possiamo tutto, anche disobbedire.

Chiaramente tutti vorrebbero eliminare le limitazioni portate a scuola dal coronavirus. I ragazzini vogliono fare tutto ciò che prima non era vietato ma normale vita insieme: abbracciarsi, giocare, condividere i materiali. Qualcuno osa di più. Vorrebbe svaligiare una banca per poter viaggiare in business class e vestirsi di diamanti. Altri si limitano alla decisione di non fare i compiti o guardare programmi televisivi fino a tarda sera.
Ma quasi tutti, sarà che in classe son sempre fermi, son saliti in TESLA Model X per sfrecciare a tutta velocità.

Il dialogo è indispensabile e va instaurato subito perchè la dimensione emotiva è al centro di ogni dinamica affettivo-intellettuale. Tutti conoscono le regole, alcuni vorrebbero violarle ma la ragione prevale: senza regole non si può stare insieme. E allora si firma l’accordo maggiore!

A scuola si ha sempre una gran fretta. Noi insegnanti ci carichiamo ogni giorni di ansia da prestazione. Sembra che il tempo non basti mai perché c’è sempre da fare: spiegare, valutare. Ma la comunicazione autoritaria tra docente e discente ostacola irrimediabilmente ogni apprendimento significativo. Ancora a troppi interessa solo la valutazione docimologica. Ancora troppi intendono la scuola come trasmissione di saperi e non la loro interiorizzazione in ambiti reali.

La relazione educativa deve venire prima di tutto. E a questo aspetto va dedicato tutto il tempo che occorre per sintonizzarsi.

In realtà non si dà mai troppo spazio all’alunno, al singolo alunno che occupa una posizione speciale dentro la classe. Ognuno con le sue peculiarità che ci piacciono molto o per niente. È più facile amare meno quelli che hanno più bisogno d’aiuto. Quelli più faticosi. Che si muovono di più, che gridano di più, che non sanno concentrarsi.

Talvolta nessuno ascolta, né i ragazzi ma soprattutto gli insegnanti. Gli adulti in generale. Così si alzano i toni. Alcuni ragazzini vogliono discutere le regole imposte, di ciò che in fondo gli adulti decidono per loro, perché non sempre ciò che gli si propone dalla cattedra li soddisfa. E si adattano. Ingoiano. In fondo sono insoddisfatti e arresi allo stato delle cose. Non appena gli dai la parola (soprattutto a coloro che sembrano più irrequieti) si calmano e tirano fuori idee per migliorare la scuola. Son loro i nostri interlocutori, insieme alle famiglie. Quello che mi spaventa è la fretta con cui si bypassano tutti gli aspetti sociali relazionali per raggiungere apparenti obiettivi formativi nell’ambito dei saperi (sempre imprescindibili) trascurando l’emotività e amplificando la frustrazione.

Se fossimo tutti meno frustrati forse, con mooooolta calma, potremmo raggiungere l’obiettivo di stare bene (anche) a scuola e, finalmente, giocare insieme a imparare.

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