Come già accaduto in passato, sono ospite degli spazi dell’interessantissimo blog degli editori Topipittori.
Di nuovo oggi! E ne sono felice!
Parlo di scuola, come al solito, ma lo faccio attraverso il racconto celato in ogni mia spilla.

Precaria per scelta. Ancora non ho deciso cosa fare da grande.
Come già accaduto in passato, sono ospite degli spazi dell’interessantissimo blog degli editori Topipittori.
Di nuovo oggi! E ne sono felice!
Parlo di scuola, come al solito, ma lo faccio attraverso il racconto celato in ogni mia spilla.
C’è una cosa che dobbiamo imparare a fare, tutti, piccoli e grandi, insegnanti e alunni: ASCOLTARE. Con estrema attenzione.
Alla fine di un ennesimo anno scolastico da precaria, pieno di quotidiani originalissimi incontri all’insegna del “come facciamo oggi a trovare la concentrazione giusta?”, scopro che molte delle convinzioni sulla professione-docente che mi trovo per caso a svolgere hanno davvero bisogno di nuovi input su semplicissime questioni di relazione. Pensiamo sia facile trasmettere contenuti, entusiasmare gli animi, catturare l’attenzione e invece manca la rivoluzione vera: quella utile all’ascolto, senza ricatti, spontanea, reale. Una rivoluzione reciproca, che porti al dialogo. Fuori dal caos sonoro e dalla confusione delle idee. Se la scuola vuole riconquistare uno spazio utile, deve assolutamente riconquistare l’autorità, ascoltando tutti, sentendo tutti i partecipanti, prestando attenzione a chi, ogni giorno, chiede il nostro sguardo e il nostro supporto. Un ordinato botta e risposta. Nessuna chiusura ma apertura. Orecchie aperte. Curiosità. Ogni capriccio, disagio, malessere, risposta arrogante, pianto, risata, urla improvvisa è una richiesta di attenzione a cui non si può dare forfait facendo finta di niente.
Scrive un alunno.
Saper ascoltare non è così semplice. Perché quando uno parla, all’altro viene voglia di aggiungere la propria esperienza su quel fatto. Questo fenomeno capita spesso in classe: quando il professore parla, gli alunni vogliono a ogni costo dire qualcosa. Parlare su una persona non è educato e porta spesso a inutili litigi. Dà anche molto fastidio, mentre parli, che una persona si metta in mezzo per esprimere la sua opinione senza lasciarti finire la frase. Un difetto che hanno in molti è che quando uno parla loro non ascoltano, invece quando parlano vogliono essere ascoltati.
Penso che ascoltare sia importante ma lo è anche parlare.
Ragiona sullo stesso tema anche un’alunna.
Ascoltare è veramente difficile: si tratta di un momento in silenzio. Chi non parla deve subire un discorso di chi si esprime. Io non ho molta difficoltà ad ascoltare. Per altre persone, invece, ogni scusa è buona per non farlo. Alcuni a scuola guardano il diario, lo pasticciano, scrivendo cose non aderenti alla lezione o parlano di continuo con il compagno di banco. Ascoltare ha lati positivi: impari qualcosa che prima non sapevi. Oppure puoi far parlare un tuo amico timido, facendogli del bene. A volte capita che, quando una persona parla, noi non capiamo niente di quello che dice, ma possiamo sempre chiedere di rispiegare.
Ascoltare vuol dire che può esprimersi solo chi parla; chi ascolta deve affrontare un momento di grande silenzio interiore. Quindi mettiamo alla prova noi stessi: bisogna imparare ad ascoltare.
Infine, un’altra alunna.
Alcune persone non riescono a capire quand’è il momento di fare silenzio, di non distrarsi e di ascoltare. Anche io alcune volte mi distraggo ma la maggior parte del tempo, in classe, ascolto. Ascolto quello che dicono i professori e quello che dicono i miei compagni. Fare silenzio e ascoltare mi rilassa e mi fa sentire tranquilla. Consiglio a tutti: ogni tanto bisogna ascoltare.