La scuola che vorrei è un laboratorio permanente, un’officina creativa, una fabbrica del pensiero, un workshop lungo nove mesi. Di fatto, una delicata gestazione (auspichiamo) lenta ed equilibrata, fatta di contenuti per l’arricchimento culturale, trame, sorprese, riflessioni, scoperte, amori, pagine, affinità elettive. Servono nove mesi per rinascere ogni volta a nuova vita, sia nel passaggio da una classe all’altra, sia da un ciclo di studi a un altro. Un continuum graduale, una sequenza diacronica di incubature. Un continuo confronto, un incessante mettersi alla prova, un ininterrotto patto inclusivo per tutti gli studenti. È il quotidiano: leggere, scrivere, contare, disegnare, ragionare, immaginare, raccontare, esercitarsi, sbagliare. La scuola è un atelier per la costruzione del sapere, per saper vivere e barcamenarsi (un giorno) con cognizione logico-scientifica fuori dalle mura degli istituti. Per strada, nel mondo.
Nell’ambito più strettamente scientifico, il laboratorio è il luogo della ricerca, dei tentativi, delle prove per risolvere, di esperimenti atti al raggiungimento di obiettivi per l’uomo desideroso di immortalità, da sempre. Vale anche in cucina, fabbrica del gusto dove lo chef insiste nel mescolare ingredienti per estrarre il miglior sapore dai cibi dolci o salati. Eureka! La scuola è l’officina dell’alchimista dove si trasforma il piombo, ovvero ciò che è negativo, in oro. Provando e riprovando.
Tutto questo labor paziente, assiduo, meticoloso, guidato dal docente deve necessariamente contemplare nel discente la possibilità di sbagliare.
Quando l’errore (quale condizione imprescindibile di innumerevoli tentativi utili al successo) è contemplato dal maestro nei processi di apprendimento per schiacciare gradualmente gli ostacoli, la scuola supera l’esame insieme a insegnanti e alunni. Non sto qui a ribadire quanto sia importante il qui pro quo nei processi di apprendimento, tanti sono gli esperti di Psicologia dello sviluppo e di Didattica dell’apprendimento a ribadirlo e quanto l’emotività influenzi i processi di acquisizione delle conoscenze. Non sono così esperta da saper sintetizzare in due parole i processi di cortocircuito emozionale interferenti con la capacità di memorizzazione, descritti perfettamente in questo video. Tuttavia ho sperimentato in classe che l’intelligere, inteso dai più come un flusso continuo di ascolto, passaggio di informazioni da fuori a dentro per l’alfabetizzazione, per essere durevole e trasformarsi in vero substrato e conoscenza, deve essere graduale ed equilibrata per quantità e qualità, ritmata come in un laboratorio scientifico dove i tentativi si moltiplicano e i risultati arrivano, sebbene molto lentamente, perché la ricerca della soluzione è ostacolata da mille variabili.
Vorrei la scuola come un laboratorio creativo, perché so cosa significhi stare in classe da 5 a 7 ore al giorno. Svegliarsi presto, prepararsi in fretta e furia, colazione turbo, essere puntuali, aprire lo zaino, estrarre i materiali da lavoro e si comincia. Essere freschi le prime ore e poi, via via, sempre più fiacchi fino al momento prima del pranzo e, ancora peggio, subito dopo pranzo, quando ancora c’è tempo per nuovi argomenti, temi ed esercizi.
Vorrei la scuola come un workshop creativo perchè so pure cosa siano diventati gli incontri extrascolastici coi bambini di tutte le età, quelli liberi, senza orari, senza bacchetta, privi di cattedre e banchi, di distanze fra me e te. Parlo di quelli dei Festival letterari. Incontri con autori, illustratori, lettori, bibliotecari, educatori, danzatori, musicisti liberi, senza sovrastrutture, senza i SILENZIO! urlati. Ma anche dei campi estivi al mare o in montagna.
Scendendo in spiaggia, impariamo la filastrocca.
A tavola, affamati, ripetiamo il proverbio.
Seduti sul prato, dipingiamo fogli bianchi.
Camminando nel bosco, cantiamo una canzone.
Sdraiati sui cuscini, ascoltiamo una storia.
Si tratta degli stessi utenti della scuola, eppure cambia il contesto cambia il processo catalizzante.
E con questo elogio della lentezza, ricco di qualità ed esercizio costante, con il sorriso (che non è risata ma star bene in classe) auguro un anno scolastico proficuo ai colleghi e anche a me stessa.
Ricco di suoni-parole-visioni-risate, sebbene per la precaria non sia lecito sapere ancora quale grado di istruzione la aspetti.
Spero di essere, soprattutto, un buon catalizzatore, il cucchiaino che fa girare lo zucchero nella tazzina.
Rispondi